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Globalizzazione: in futuro un aumento delle invasioni biologiche

Nuovo studio sulle invasioni biologiche

28 dicembre

Ci vorranno decenni per comprendere pienamente le conseguenze degli attuali livelli socio-economici anche in termini di aumentate invasioni biologiche.

Un nuovo studio sulle invasioni biologiche, realizzato sulla base di dati relativi a 10 gruppi tassonomici e 28 paesi europei, ha dimostrato che le invasioni di specie alloctone sono più legate alle caratteristiche socio-economiche del passato, che non a quelle di oggi. Questi risultati, ottenuti da un gruppo di 16 ricercatori, tra i quali Piero Genovesi dell’ISPRA, sono stati da poco pubblicati nella prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Lo studio è anche il risultato del progetto triennale DAISIE (Delivering Alien Invasive Inventario per l'Europa, www.europe-aliens.org), finanziato dall'Unione Europea all'interno del sesto programma quadro di ricerca.

Recenti ricerche hanno dimostrato che le attività economiche sono tra i fattori principali che determinano le invasioni biologiche, e questo dato è alla base di un approfondito dibattito a tutti i livelli politici, dove si discute ad esempio di regolamentazioni del commercio per combattere questa crescente minaccia. Ma quello che lo studio dimostra è che c’è un ritardo tra l’introduzione delle specie in un nuovo territorio e la diffusione dell’organismo, che ne determina gli impatti più rilevanti. Questo fenomeno crea quindi quello che i ricercatori chiamano un "debito di invasione".

I ricercatori hanno selezionato tre fattori predittivi delle attività socio-economiche legate alle invasioni - densità della popolazione umana, PIL pro capite, e - come misura dell’intensità degli scambi commerciali e quindi dell'apertura dei diversi sistemi economici - la quota delle esportazioni sul PIL. Sulla base di questi parametri lo studio ha quindi dimostrato che la ricchezza di specie alloctone presenti nei diversi paesi è spiegato meglio dai dati socio-economici del 1900 che non da quelli del 2000. Anche se questo effetto storico è meno forte per i gruppi tassonomici con buone capacità di dispersione (uccelli, insetti), lo studio ha dimostrato una forte "eredità storica" nella maggior parte dei gruppi tassonomici analizzati.

"Lo studio", dice Piero Genovesi dell’ISPRA, "indica chiaramente che esiste un fattore di inerzia; le attuali politiche di libero commercio, spesso assolutamente carenti in termini di misure di prevenzione delle nuove introduzioni, causerà impatti solo tra qualche decennio, creando quello che nello studio abbiamo indicato come un "debito di invasione’".

"Questa inerzia", aggiunge Stefan Dullinger dell'Università di Vienna, "è molto preoccupante, perché porta a ritenere che la costante crescita economica determinerà livelli crescenti di invasioni nel prossimo futuro, anche se si introducessero da subito misure di regolamentazione delle nuove introduzioni".

Franz Essl, ricercatore dell’Agenzia Austriaca per l’Ambiente e primo autore dello studio conclude che "i semi delle future invasioni sono già stati piantati". Tutti gli autori concordano sull’importanza di rafforzare i sistemi di controllo delle specie invasive, ed in particolare la creazione di sistemi di allarme precoce e risposta rapida. Solo così potremo affrontare un fenomeno che si ritiene potrà in futuro diventare una tra le più rilevanti minacce per la biodiversità.