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Tracking wolf x dog hybrids: quindici anni di monitoraggio genetico per la conservazione del lupo italiano

Autori: Romolo Caniglia1, Elena Fabbri1, Marco Galaverni2, Federica Mattucci1, Ettore Randi3, Edoardo Velli1

 

La popolazione italiana di lupo rappresenta un evidente esempio di successo conservazionistico. Negli anni ’70 la popolazione italiana di lupo sembrava destinata all’estinzione in quanto le persecuzioni antropiche e la riduzione degli habitat naturali l’avevano ridotta a poco più di un centinaio di individui che vivevano in pochi nuclei frammentati ed isolati dell’Appennino centro meridionale (Zimen  e Boitani 1975). La protezione legale e la riqualificazione degli habitat montani hanno favorito una naturale ripresa della popolazione italiana di lupo che a partire dagli anni ’80 ha ricolonizzato gran parte del proprio areale storico sia sugli Appennini sia sulle Alpi occidentali ed attualmente annovera almeno 1.500-1.800 individui (Fabbri et al. 2007; Galaverni et al. 2015). Tuttavia le contrazioni demografiche degli ultimi decenni hanno contribuito ad accentuare la ridotta variabilità genetica che si osserva nella popolazione italiana di lupo e sembrerebbero aver favorito anche il contatto fra lupi e cani domestici vaganti o rinselvatichiti che erano numerosi proprio nelle zone di persistenza del lupo durante il minimo demografico degli anni 70 innescando episodi di ibridazione (Galaverni et al. 2017; Montana et al. 2017).

L’ibridazione viene generalmente definita come l’incrocio fra individui che appartengono a specie diverse. Tuttavia questa definizione tassonomica di ibridazione può risultare spesso problematica perché in diverse occasioni non sempre è chiaro il concetto di specie. Per questo motivo la definizione più comunemente accettata di ibridazione è l’incrocio fra individui di due o più popolazioni che sono distinguibili almeno per un carattere ereditario (Gompert and Buerkle 2016). L’ibridazione naturale rappresenta un processo molto importante dal punto di vista evolutivo perché può favorire la comparsa di nuove specie attraverso processi di “l’Evoluzione reticolare” o “Speciazione per Ibridogenesi”. E’ noto che in natura si ibridino più di 23.000 specie di piante, 4000 specie di pesci ossei, diverse specie di anfibi e circa il 10% delle specie di uccelli (Lavrenchenko and Bulatova 2016).

Negli ultimi anni però si sta diffondendo un nuovo tipo di ibridazione definita “antropogenetica”, determinata in maniera diretta o indiretta dall’uomo attraverso la modificazione e frammentazione degli habitat naturali, l’invasione di specie aliene, le traslocazioni di specie e sottospecie alloctone, il rilascio di ibridi prodotti in cattività e la diffusione incontrollata di animali domestici ferali.

Le conseguenze conservazionistiche dell’ibridazione antropogenetica sono disastrose poiché possono contribuire, in modo diretto (mixing) o indiretto (replace) all’estinzione delle specie o popolazioni selvatiche (Allendorf et al. 2001; Tedesco et al. 2016).

 

Esempi eclatanti di ibridazione antropogenetica avvengono all’interno del genere Canis. Episodi di ibridazione fra lupi e coyote sono diffusi in nord America (VonHoldt et al. 2016), mentre casi di incroci fra lupi e sciacalli sono sati documentati in Europa orientale (Freedman et al. 2014). In Europa sono stati documentati anche casi di ibridi lupo-cane le cui percentuali variano dall’ 1% al 13% a seconda della popolazione in esame (Hindrikson et al. 2016).

A questo punto appare ovvio che l’ibridazione antropogenetica nei lupi vada continuamente monitorata a causa dei potenziali problemi genetici e morfologici che potrebbe comportare come ad esempio la perdita dell’identità genetica e fenotipica delle popolazioni selvatiche ed eventuali problemi sanitari dovuti alla trasmissione di malattie, come la rogna, dal cane al lupo.

Un primo metodo di indagine può basarsi sull’analisi dei caratteri morfologici come ad esempio la colorazione melanica del mantello, la presenza di unghie bianche e la presenza dello sperone sulle zampe posteriori che non sono tipici della popolazione italiana di lupo ma che sono tipici di diverse tipologie e razze di cani come il Pastori Belga, il Mastino Abruzzese, il San Bernardo ed il Bovaro del Bernese (Ciucci et al. 2003; Galaverni et al. 2017).

Altre indicazioni possono pervenire dalle analisi genetiche effettuate sul DNA estratto da diverse tipologie di campioni biologici: invasivi (tessuti prelevati dalle carcasse e sangue prelevato da animali feriti) e non-invasivi (ad esempio gli escrementi ed i peli rinvenuti nelle aree di pertinenza del lupo). Le analisi genetiche possono utilizzare diversi tipi di marcatori molecolari: biparentali o uniparentali, autosomici o localizzati sui cromosomi sessuali, neutrali o codificanti. I loci microsatellite (frammenti di DNA nucleare costituiti da 2-8 basi che si ripetono in tandem molte volte, da qui la nomenclatura “Short Tandem Repeats” o STR) sono marcatori codominanti biparentali neutrali (non soggetti a selezione naturale) che hanno un elevatissimo tasso di mutazione  il che determina un levato numero di alleli per ogni locus. Questa variabilità li rende particolarmente adatti ad essere usati per identificare il profilo multilocus individuale, per ricostruire le analisi di parentela fra i campioni appartenenti ad una stessa popolazione, e per condurre analisi sulla variabilità genetica e su altri parametri tipici della genetica di popolazione. I loci microsatellite autosomici possono presentare frequenze alleliche diverse o anche alleli privati (non condivisi) nelle popolazioni o specie parentali per cui permettono di effettuare dei test di assegnazione o clusterizzazione basati ad esempio sulla statistica Bayesiana che assegnano probabilisticamente gli individui ad una o all’altra popolazione parentale, e nel caso di individui ibridi ad entrambe. Tuttavia è importante sottolineare che tali metodi di assegnazione statistica sono affidabili solo se le popolazioni di riferimento sono ben caratterizzate geneticamente.

I marcatori uniparentali permettono invece di evidenziare tracce di ibridazioni o passate introgressioni lungo la linea materna (attraverso l’analisi del DNA mitocondriale: mtDNA) e paterna (attraverso l’analisi di loci microsatellite localizzati sul cromosoma Y: Y-STR).

Infine, attraverso l’analisi di una delezione di 3 paia di basi del gene CBD103 localizzato sul cromosoma 16 dei canidi è possibile identificare la colorazione nera del mantello anche in campioni di tipo non-invasivo, quindi anche non disponendo di informazioni fenotipiche circa gli animali cui tali campioni appartengono (Caniglia et al. 2013; Caniglia et al. 2014; Randi et al. 2014).

Dal 2002 ad oggi il personale del Laboratorio dell’Area per la Genetica della Conservazione dell’ISPRA ha analizzato il DNA estratto da più di 13500 campioni biologici utilizzando i marcatori molecolari nucleari (12-39 loci microsatellite), uniparentali (500 paia di basi del mtDNA e 4 loci microsatellite localizzati sul cromosoma Y) e la delezione identificativa della colorazione nera del mantello.

Da tale analisi quindicennale sono emersi più di 2000 genotipi unici di cui il 2-15% presentava diverse tracce di ibridazione ai vari marcatori analizzati, tranne che per il DNA mitocondriale, nessun individuo presentava infatti aplotipi mitocondriali di cane. La maggior parte degli individui con tracce di ibridazione tuttavia non rappresenta degli ibridi di prima o seconda generazione ma dei reincroci. Dalla analisi dei nuclei familiari estrapolati interpolando i dati genetici con i dati ottenuti dalle attività di campo (wolf-howling, foto-trappolaggio), in più di 70 branchi per i quali è stato possibile ricostruire dei pedigree affidabili, l’80% degli eventi di ibridazione rappresenta dei reincroci più antichi della quinta o sesta generazione (Caniglia et al. 2013; Caniglia et al. 2014; Randi et al. 2104).

Per approfondire lo studio del fenomeno dell’ibridazione, capirne le dinamiche e datare le generazioni degli ibridi, il migliore DNA estratto da 118 lupi italiani, 72 presunti ibridi e 31 cani vaganti è stato analizzato a livello genomico utilizzando 170000 marcatori molecolari biallelici chiamati SNP (polimorfismi dei singoli nucleotidi). Questa analisi, sebbene costosa e finora realizzabile solo con DNA di ottima qualità, ha permesso di identificare le mutazioni associate ad alcuni dei fenotipi anomali (colorazione melanica del mantello, unghie bianche e la presenza dello sperone sulle zampe posteriori), di identificare non solo ibridi recenti ma anche ibridi antichi originatisi fino a 20 generazioni nel passato e di evidenziare come la maggior parte degli ibridi identificati risalga prevalentemente alle fasi di espansione della popolazione italiana di lupo tra gli anni 80 e gli anni 2000 piuttosto che alla fase di minima consistenza degli anni 70 (Galaverni et al. 2017).

 

Una delle sfide imminenti per i biologi della conservazione rimane quella di mettere a punto un sistema basato sull’analisi di un pannello di un centinaio di SNP altamente informativi da poter utilizzare per l’analisi dei DNA estratti da campioni biologi anche di scarsa qualità, come ad esempio gli escrementi. Tale sistema permetterebbe, infatti, di realizzare dei monitoraggi del fenomeno dell’ibridazione a larga scala in modo da identificare non solo gli ibridi recenti ma anche le antiche introgressioni localizzate sui geni funzionali che determinano i fenotipi e che sono coinvolti nei processi di selezione e di domesticazione (Galaverni et al. 2017).

 

Bibliografia e litografia essenziale

  1. Allendorf FW, Leary RF, Spruell P, Wenburg JK. 2001. The problems with hybrids: setting conservation guidelines. Trends Ecol Evol. 16:613–622.
  2. Caniglia R, Fabbri E, Greco C, Galaverni M, Manghi L, Boitani L, Sforzi A, Randi E. 2013. Black coats in an admixed wolf _ dog pack is melanism an indicator of hybridization in wolves?. Eur J Wildl Res. 59:543–555.
  3. Caniglia R, Fabbri E, Galaverni M, Milanesi P, Randi E. 2014. Noninvasive  sampling and genetic variability, pack structure, and dynamics in an expanding wolf population. J Mammal. 95:41–59.
  4. Ciucci P, Lucchini V, Boitani L, Randi E. 2003. Dewclaws in wolves as evidence of admixed ancestry with dogs. Can J Zool. 81:2077–2081.
  5. Fabbri E,Miquel C, Lucchini V, Santini A, Caniglia R, Duchamp C,Weber JM, Lequette B,Marucco F, Boitani L, et al. 2007. From the Apennines to the Alps: colonization genetics of the naturally expanding Italian wolf (Canis lupus) population. Mol Ecol. 16:1661–1671.
  6. Freedman AH, Gronau I, Schweizer RM, Ortega-Del Vecchyo D, Han E,Silva PM, Galaverni M, Fan Z, Marx P, Lorente-Galdos B, et al. 2014. Genome sequencing highlights the dynamic early history of dogs. PLoS Genet. 10:e1004016.
  7. Galaverni M, Caniglia R, Fabbri E, Milanesi P, Randi E. 2016. One, no one, or one hundred thousand: how many wolves are there currently in Italy?. Mammal Res. 61:13–24.
  8. Galaverni M, Caniglia R, Pagani L, Fabbri E, Boattini A, Randi E. Disentangling Timing of Admixture, Patterns of Introgression, and Phenotypic Indicators in a Hybridizing Wolf Population. Mol. Biol. Evol. 2017;34:2324–39.
  9. Gompert Z, Buerkle CA. 2016. What, if anything, are hybrids: enduring truths and challenges associated with population structure and gene flow. Evol Appl. 9:909–923.
  10. Hindrikson M, Remm J, Pilot M, Godinho R, Stronen AV, Baltrūnaitė L, et al. 2017. Wolf population genetics in Europe: a systematic review, meta-analysis and suggestions for conservation and management. Biol Rev. 92: 601–1629.
  11. 11.  Lavrenchenko LA, Bulatova NS. 2016. The role of hybrid zones in speciation: a case study on chromosome races of the house mouse Mus domesticus and common shrew Sorex araneus. Biol Bull Rev. 6:232–244.
  12. 12.  Montana L, Caniglia R, Galaverni M, Fabbri E et al. 2017. Combining phylogenetic and demographic inferences to assess the origin of the genetic diversity in an isolated wolf population. PLoS One 12(5):e0176560.
  13. 13.  Randi E, Hulva P, Fabbri E, GalaverniM, Galov A, Kusak J, Bigi D, Bolfıkova BC, Smetanova M, Caniglia R. 2014. Multilocus detection of wolf x dog hybridization in italy, and guidelines for marker selection. PLoS One 9:e86409.
  14. 14.  Todesco M, PascualMA, Owens GL, Ostevik KL, Moyers BT, Hu¨bner S, Heredia SM, Hahn MA, Caseys C, Bock DG, et al. 2016. Hybridization and extinction. Evol Appl. 9:892–908.
  15. 15.  VonHoldt BM, Cahill JA, Fan Z, Gronau I, Robinson J, Pollinger JP, Shapiro B, Wall J, Wayne RK. 2016.Whole-genome sequence analysis shows that two endemic species of North American wolf are admixtures of the coyote and gray wolf. Sci Adv. 2:1–13.
  16. 16.  Zimen E, Boitani L. 1975. Number and distribution of wolf in Italy. Zeitschrift Fur Saugetierkunde 40:102–112.

 

 

1 Area per la Genetica della Conservazione, ISPRA, Ozzano dell’Emilia, Bologna, Italy

2 Area Conservazione, WWF Italia, Rome, Italy

3 Department 18/ Section of Environmental Engineering, Aalborg University, Aalborg Øst, Denmark