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XV sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Onu per la Diversità Biologica

Si è conclusa a Montreal (Canada) la XV sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Onu per la Diversità Biologica, co-ospitata da Canada e Cina.

Dopo più di tre anni di analisi, approfondimenti e negoziazioni, sei meeting, di cui uno a Roma nel 2020 e due posticipi della sessione dovuti alla pandemia da Covid-19 e, infine, in questo mese di dicembre, di negoziati a Montreal, 196 Paesi hanno firmato un pacchetto di accordi che può realmente arrestare e invertire il drammatico declino della biodiversità, o la sesta grande estinzione di massa, e mettere l'umanità sulla strada «per vivere in armonia con la natura» entro la metà del secolo.

L'accordo - che è stato costruito seguendo i caveat e le indicazioni della comunità scientifica e, in particolare, di un rapporto del 2019 dell’Intergovernmental science-policy platform on biodiversity and ecosystem services (Ipbes), la massima autorità scientifica al mondo su natura e biodiversità - è tutt’altro che perfetto e sicuramente non risponde alle aspettative dei Paesi dell’UE e degli altri Paesi che avevano aderito all’High Ambition Coasltion. Ma, come hanno detto molti analisti, spesso il perfetto è nemico del buono e il pacchetto di accordi è il massimo che si potesse ottenere in questo fase della storia umana, un simmetria tra ambizione e realismo, una mediazione tra le esigenze del Nord globale e del Sud globale, una traccia che potrà guidare gli sforzi collettivi per fermare la perdita di biodiversità.

Il pacchetto di accordi include un piano globale per la biodiversità per il 2030 e il 2050, denominato Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), che traccia il percorso che i Paesi dovranno percorrere per raggiungere i 23 traguardi (target) al 2030 e gli obiettivi generali (goal) al 2050.

I primi tre target del 2030, relativi a pianificazione del territorio, ripristino degli ecosistemi e protezione s base territoriale di specie ed ecosistemi, hanno il potenziale per raggiungere ciò che un corpus crescente di acquisizioni scientifiche in tema di conservazione della natura ci dice sia necessario per affrontare non solo la perdita di biodiversità, ma anche la crisi climatica: proteggere, conservare e ripristinare almeno la metà della superficie del pianeta entro il 2030.

Ispirato dalla visione del famoso biologo americano E.O. Wilson, scomparso un anno fa, solo un obiettivo per il 2050 di questa portata offrirebbe buone probabilità che un milione di specie, circa un quarto delle specie del pianeta finora conosciute, siano sottratte all’estinzione.

Di questi target, il target 3, noto anche come “30 by 30”, era quello più di alto profilo della Cop15, un target simbolico, una linea rossa, per le ambizioni di conservazione dell’UE. La formulazione finale impegna i governi a preservare quasi un terzo della Terra per la natura entro il 2030, rispettando i territori indigeni e tradizionali nell'espansione di nuove aree protette. Diversi studi scientifici ed evidenze empiriche dimostrano che i popoli indigeni e tradizionali sono i migliori custodi della natura. Il Global Assessment dell'IPBES del 2019 ha fortemente contribuito ad affinare e diffondere la comprensione del ruolo cruciale che i popoli indigeni e tradizionali svolgono nella salvaguardia della biodiversità, rappresentando solo il 5% della popolazione umana, ma proteggendo l'80% della biodiversità terrestre. Sono le loro culture, strutture politiche e conoscenze che hanno consentito questa coesistenza con il resto del tessuto vivente del nostro pianeta.

Il linguaggio del GBF sottolinea l'importanza di un'efficace gestione della conservazione per garantire che le zone umide, le foreste pluviali, le praterie e le barriere coralline siano adeguatamente protette, non solo sulla carta, e connesse tra di loro.

Il GBF affronta anche altri fattori di perdita di biodiversità come le specie invasive (riduzione di almeno il 50% dell'introduzione e dell'insediamento) e l'inquinamento (riduzione di almeno la metà dell'inquinamento da nutrienti e di almeno la metà del rischio legato all'uso di pesticidi e sostanze chimiche altamente pericolose). 

Per gli altri due fattori di perdita di biodiversità, il prelievo eccessivo di risorse biologiche e il cambiamento climatico, i target di riferimento del GBF, rispettivamente il quinto e l’ottavo, non contengono valori numerici da raggiungere. Ciò rende più difficile il monitoraggio, la revisione e il reporting dell'attuazione nei prossimi anni come pure la possibilità di responsabilizzare i governi e gli altri attori economici e sociali.

In più, il GBF invia anche segnali importanti agli attori economici, come le imprese e la finanza. Il target 15 impegna i governi ad adottare misure affinché le imprese, e in particolare quelle medio-grandi, diventino più trasparenti su loro rischi, dipendenze e impatti sulla biodiversità e più trasparenti nei confronti dei consumatori rispetto all’impronta ecologica che esse lasciano sulla biodiversità.

Diversi analisti ritengono che la mancanza di valori numerici nell'Obiettivo A, che raggruppa i primi 8 target del GBF, cruciali per il successo dell’intero accordo, tra cui il target 8 (relativo alle relazioni tra biodiversità e cambiamento climatico), renderà più difficile valutare l’avvicinamento verso gli obiettivi al 2050. Tra i target privi di valore numerico vi sono anche alcuni che affrontano la profonda riforma che è necessaria nei settori socio-economici chiave (biodiversity mainstreaming), come il target 10 su agricoltura (dove c’è pure un riferimento allo sviluppo di approcci agro-ecologici e un’apertura all’intensificazione sostenibile), acquacoltura, pesca e silvicoltura.

Ai Paesi il GBF chiede ora di aggiornare le strategie e piani d'azione nazionali sulla biodiversità (NBSAP). Ciò deve avvenire il prima possibile e prima della COP16 (che si terrà ad Antalya, Turchia, nel 2024), quando avrà luogo una prima valutazione del livello di raggiungimento dei traguardi al 2030 e del livello di ambizione globale.

Lo sviluppo e l'attuazione di questi piani possono aprire formidabili opportunità per i cittadini di ogni angolo del pianeta di mobilitarsi per la protezione della diversità biologica.

Secondo gli studi più accreditati, occorre "mobilizzare risorse finanziarie" per circa mille miliardi di dollari l'anno per implementare il GBF. Per raggiungere questo traguardo, il pacchetto del GBF chiede ai Paesi di:

  • identificare entro il 2025 i loro incentivi e sussidi dannosi ed eliminarli gradualmente o riformarli, in modo da giungere a una riduzione globale di 500 miliardi di dollari l'anno entro il 2030  (target 18);
  • rendere disponibili almeno 200 miliardi di dollari l'anno per la biodiversità entro il 2030, di cui almeno 20 miliardi di dollari all'anno devono essere destinati ai paesi in via di sviluppo da parte dei paesi sviluppati entro il 2025 e almeno 30 miliardi di dollari l'anno entro il 2030 (target 19);
  • creare un fondo dedicato per la biodiversità, il Global Biodiversity Framework Fund (GBF Fund), entro la fine del 2023, nell'ambito del Global Environment Facility, dotato di un proprio organo di governo, per sostenere l'attuazione del GBF ed esplorare ulteriori opzioni, inclusa la possibilità di un fondo autonomo, nei prossimi anni.

Nel pacchetto dell’accordo è contenuto anche l’impegno di sviluppare nuovi meccanismi multilaterali che favoriscano una equa e giusta condivisione dei benefici associati all’uso delle informazioni di sequenziamento digitale sulle risorse genetiche (digital sequence information, o DSI). Dal 2019, le DSI  sono sempre stati tra i temi più controversi. Le DSI si riferiscono alle informazioni genetiche digitalizzate che otteniamo dalla natura, che vengono utilizzate per produrre, tra le altre cose, nuovi farmaci, vaccini e prodotti alimentari. Queste forme digitali di biodiversità provengono da foreste pluviali, torbiere, barriere coralline e altri ecosistemi, ma è difficile risalire al loro paese di origine. Ora, molti governi dei Paesi del Global South si aspettano un pagamento per l'uso delle loro risorse genetiche da parte delle imprese che sfruttano le DSI. A Montreal è stato raggiunto un accordo per sviluppare un meccanismo di finanziamento sul DSI nei prossimi anni, salutato come una vittoria storica per gli Stati africani che ne hanno chiesto la creazione prima del vertice.

Infine, per evitare che, come per l’accordo di Parigi sul clima, anche per il Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework non si riesca a impegnare le risorse necessarie, il GBF invita i Paesi a  procedere verso «una trasformazione fondamentale dell'architettura finanziaria globale» e invita le banche multilaterali di sviluppo e le istituzioni finanziarie internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, ad allineare le loro attività con il GBF e ad aumentare i finanziamenti per la biodiversità. Come ritengono molti analisti, solo a seguito di una trasformazione fondamentale dell'architettura finanziaria globale si potranno attivare iniziative di finanza privata, anche a fini filantropici, per la conservazione, il ripristino e l’uso sostenibile della biodiversità.