Istituto Superiore per la Protezione
e la Ricerca Ambientale

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DeFishGear

Introduzione

Negli ultimi decenni il mare è diventato la più grande discarica di rifiuti prodotti dall’uomo: liquami, spazzatura, rifiuti ingombranti e interi arsenali bellici sono stati gettati in mare pensando che la sua grandezza fosse capace di accogliere, diluire, riciclare e rendere inerte ogni cosa. L’evidente abbaglio di tale convinzione è ormai chiaro alle popolazioni e ai governi che stanno cercando di limitare la produzione di rifiuti marini con normative ad hoc.

Con il termine di rifiuti solidi marini (marine litter) si definisce qualsiasi materiale solido persistente (durevole) prodotto dall’uomo e abbandonato nell’ambiente marino. I rifiuti arrivano in mare sia da fonti terrestri (cattive abitudini individuali, scorretta gestione dei rifiuti urbani, mancanza di impianti di trattamento delle acque reflue, smaltimento illecito di rifiuti industriali, alluvioni, ecc.) che da fonti marine (smaltimento illegale dei rifiuti prodotti da navi passeggeri, da mercantili, da piattaforme). Anche le attività di pesca commerciale, la mitilicoltura e la piscicoltura contribuiscono alla produzione di rifiuti marini solidi quando gli attrezzi da pesca (lenze, reti, nasse, ecc.) vengono accidentalmente persi o volontariamente smaltiti in mare.

I materiali che più comunemente compongono i rifiuti marini sono plastica, gomma, carta, metallo, legno, vetro e stoffa, e possono galleggiare sulla superficie del mare, essere trasportati sulle spiagge oppure giacere sui fondali. Circa il 70% dei rifiuti solidi riversati in mare affonda, sparendo alla vista, mentre solo il 15% rimane in superficie. Plastica e gomma sintetica sono i materiali più persistenti e nel tempo tendono a frammentarsi in parti più piccole a seguito dell’azione fisica del mare (onde, correnti, maree) a dell’abrasione conseguente al contatto col fondale e la battigia. Il processo di frammentazione produce particelle dette microplastiche, che hanno dimensioni simili al plancton e possono quindi essere ingerite dagli organismi marini con effetti tossici non ancora del tutto chiari ma che si propagano lungo la rete trofica fino all’uomo.

 

Una strategia comune per l’Adriatico: il progetto DeFishGear

Il progetto internazionale di cooperazione transfrontaliera DeFishGear, finanziato nell’ambito del programma europeo IPA Adriatico, unisce le forze di Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro e Slovenia per affrontare i vari aspetti legati alla presenza dei rifiuti solidi in Mar Adriatico.

Gli obiettivi del progetto sono:

  • raccogliere dati sulla marine litter (sia essa in galleggiamento in mare aperto, presente sul fondo o accumulata sulle spiagge) per valutare sorgenti, distribuzione, quantità e tipologia;
  • studiare presenza, tipologia, quantità ed effetti tossicologici delle microplastiche presenti sia nella colonna d’acqua che negli organismi marini;
  • informare e sensibilizzare tutte le parti coinvolte nel problema (pescatori, autorità, popolazione, etc.) per prevenire la produzione di rifiuti marini;
  • realizzare azioni pratiche per ridurre i rifiuti marini, in particolare tramite l’attività nota come fishing-for-litter[1];
  • sperimentare ed attuare nuove modalità di gestione e riciclo dei rifiuti prodotti dalla pesca (in particolare reti e attrezzi dismessi);
  • unificare a livello Adriatico le modalità di raccolta e gestione dati, sopra descritte, nonché condividere risorse, esperienze e possibili soluzioni al problema della marine litter.

[1] I rifiuti solidi raccolti accidentalmente dai pescatori durante le normali attività di pesca vengono raccolti in appositi contenitori (ad es. un bidone o una big bag), posti a bordo delle imbarcazioni che aderiscono all’iniziativa fishing-for-litter, ed i rifiuti conferiti a terra in apposite strutture senza alcun onere economico per il pescatore. Questa pratica è già operativa con successo dal 2005 in diverse marinerie, soprattutto del nord Europa: Scozia, Olanda, Belgio, Germania. Uno dei problemi per cui questo sistema non è diffuso in Italia è la mancanza di adeguati punti di conferimento nei porti e nelle aree dove ormeggiano i pescherecci, nonché una carenza nei processi di raccolta e smaltimento o riciclo.